Cambiamento semplice del sesso iscritto nel registro civile dal 1° gennaio 2022

Le persone trans o con una variante dello sviluppo sessuale potranno modificare il sesso e il prenome iscritti nel registro dello stato civile in modo rapido e senza ostacoli burocratici. Nella seduta del 27 ottobre 2021 il Consiglio federale ha deciso di porre in vigore il 1° gennaio 2022 la pertinente revisione del Codice civile (CC) e le conseguenti modifiche dell’ordinanza dello stato civile e dell’ordinanza sugli emolumenti in materia di stato civile.

La modifica di legge varata dal Parlamento il 18 dicembre 2020 permette alle persone interessate di modificare velocemente e senza ostacoli burocratici il sesso e il prenome iscritti nel registro civile tramite una dichiarazione di fronte all'ufficiale dello stato civile. La dichiarazione può essere rilasciata da ogni persona che abbia la convinzione intima e costante di non appartenere al sesso iscritto nel registro dello stato civile.

Se la persona interessata non ha ancora compiuto il sedicesimo anno di età, è sotto curatela generale o se l'autorità di protezione degli adulti lo ha ordinato, occorre il consenso del rappresentante legale. La dichiarazione è soggetta a un emolumento di 75 franchi. Il Consiglio federale ha deciso che le modifiche entreranno in vigore il 1° gennaio 2022.

Il cambiamento del sesso iscritto nel registro dello stato civile non ha effetti sui rapporti esistenti retti dal diritto di famiglia (matrimonio, unione domestica registrata, parentela o discendenza). Anche il binarismo di genere (maschile/femminile) non cambia: nel registro dello stato civile è quindi possibile iscrivere solo il sesso maschile o femminile. L'eventuale introduzione di un terzo genere o la rinuncia completa all'iscrizione del sesso sono oggetto di un rapporto che il Consiglio federale sta elaborando in adempimento dei postulati Arslan 17.4121 e Ruiz 17.4185.

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Pandemia di COVID-19: le condizioni di vita peggiorano soprattutto per i giovani e le persone con redditi bassi

Nella prima metà del 2021 la pandemia di COVID-19 ha avuto poche ripercussioni sul grado di soddisfazione, generalmente elevato, espresso dalla popolazione riguardo alle relazioni personali e alla propria salute. L’11,3% della popolazione, tuttavia, è stato confrontato con diminuzioni reddituali dovute alla pandemia, in particolare chi era svantaggiato già prima della crisi. Sono soprattutto i giovani a indicare l’influsso negativo della pandemia di COVID-19 sul morale. È quanto emerge dagli ultimi risultati dell’Ufficio federale di statistica (UST) tratti da dati sperimentali dell’indagine sui redditi e sulle condizioni di vita (SILC) 2021.

Nella prima metà del 2021, il 20% della popolazione ha vissuto in un’economia domestica il cui reddito complessivo autovalutato è diminuito negli ultimi 12 mesi. La ragione che ha addotto oltre la metà di loro (11,3%) è la pandemia di COVID-19. Pandemia che ha spesso generato perdite, in particolare per le persone occupate nei servizi di alloggio e di ristorazione (35,5%), per quelle con redditi autovalutati bassi (19,5%) e anche per le persone straniere (16,7%). Le persone occupate nella pubblica amministrazione o nell’ambito dell’istruzione sono invece state meno colpite (risp. il 4,2 e il 8,2%).

Tuttavia, tra il 2019 e il 2021 la quota di persone che sono riuscite facilmente o molto facilmente a sbarcare il lunario è aumentata dal 48,4 al 57,9%. Ciò si spiega, oltre che per un generale calo dei consumi, anche perché nel periodo in rassegna si è più spesso rinunciato ad attività ricreative, come andare al ristorante oppure praticare attività sportive o culturali.

Abbassamento del morale, in particolare tra i giovani

La crisi sanitaria ha conseguenze negative anche sulla salute psichica della popolazione in Svizzera: il 40,2% ha indicato che nella prima metà del 2021 la pandemia di COVID-19 ha avuto ripercussioni negative sul morale. La quota si è rivelata particolarmente elevata per le persone dai 16 ai 24 anni (55,1%), per quelle con una formazione terziaria (44,8%) e per quelle con i redditi autovalutati più elevati (45,1%). La crisi sanitaria ha invece avuto meno effetti negativi sul morale delle persone residenti in zone scarsamente popolate (36,4%) e di quelle di oltre 65 anni (26,0%).

Quasi la metà della popolazione ha potuto lavorare a domicilio

Sin dall’inizio della pandemia, quasi il 50% della popolazione occupata ha avuto la possibilità di lavorare sempre o almeno parzialmente a domicilio. Anche in questo caso sono riscontrabili grandi differenze tra i gruppi di popolazione. Il 67,7% delle persone con un titolo di livello terziario e il 72,3% di quelle con i redditi autovalutati tra i più alti hanno potuto lavorare sempre o parzialmente a domicilio. E lo hanno fatto nettamente di più rispetto alle persone di origine straniera (39,9%), a quelle con un reddito autovalutato basso (31,7%) e a quelle senza formazione postobbligatoria (16,6%).

Rinsaldato il senso di sicurezza verso l’impiego

All’inizio della crisi sanitaria sono però state manifestate anche preoccupazioni in merito alla situazione finanziaria futura, in particolare ci si è sentiti molto meno sicuri del posto di lavoro. Dopo un forte peggioramento durante il confinamento parziale del 2020, la percezione soggettiva della sicurezza dell’impiego nel 2021 è di nuovo migliorata. La quota della popolazione occupata che valuta molto basso il rischio di perdere il posto di lavoro è salita dal 53,5% durante il confinamento parziale al 60,5% nel 2021, pur rimanendo significativamente al di sotto del livello del 2019 (64,6%). 

Per le persone di nazionalità svizzera, quelle con un titolo di livello terziario e quelle che ritengono di avere un reddito alto, la percezione soggettiva di sicurezza del posto di lavoro ha quasi raggiunto nuovamente il livello precedente la pandemia. Non è invece affatto tornata ai livelli precedenti la percezione di sicurezza dell’impiego da parte delle persone di nazionalità straniera, di quelle di lingua francese e di quelle che ritengono di avere un reddito basso (autovalutazione).

Finora la soddisfazione è diminuita solo di poco 

Dall’inizio della crisi sanitaria, la quota di persone che si sentono sempre o la maggior parte del tempo felici è significativamente diminuita e nella prima metà del 2021 si attestava al 73,9% (rispetto al 79,2% registrato prima del confinamento parziale del 2020). Nello stesso periodo, la quota di persone molto soddisfatte della loro vita corrente si è contratta dal 40,7 al 36,6%. In Svizzera, il livello di soddisfazione della popolazione per le relazioni personali e lo stato di salute soggettivo, globalmente alto, è invece rimasto praticamente invariato.

Leggero calo del livello di fiducia nel sistema politico

All’inizio della pandemia di COVID-19 la fiducia della popolazione nel sistema politico è nettamente aumentata. La quota di persone con un livello di fiducia nel sistema politico in Svizzera elevato o molto elevato è cresciuta dal 47,5% prima del confinamento parziale al 54,0% durante quest'ultimo. Nella prima metà del 2021, tuttavia, questo aumento della fiducia nel sistema politico è tornato a decrescere lievemente, pur mantenendosi a un livello superiore rispetto all’inizio della crisi sanitaria.

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KV-Lehrlinge sollen in Zukunft einen Tag im Homeoffice arbeiten

Die Corona-Krise hat das Arbeitsalltag nachhaltig verändert. Homeoffice wird auch in Zukunft fester Bestandteil sein. Darauf sollen KV-Lernende nun besser vorbereitet werden. Homeoffice war im Lockdown für viele KV-Lehrlinge eine Herausforderung. Das zeigt eine Umfrage von KV Schweiz. Deshalb sollen bald neue Regeln und Strategien fürs Homeoffice gelten.

Die Corona-Pandemie hat das Arbeiten im Homeoffice in vielen Branchen etabliert. Für KV-Lehrlinge war die Fernausbildung aber schwierig. Mühe hatten besonders Lehrlinge im ersten Lehrjahr, die noch keine grossen Erfahrungen auf dem Arbeitsmarkt sammeln konnten. Wie eine Umfrage des Kaufmännischen Verbands Schweiz bei 721 Ausbildnern und Ausbildnerinnen ergab, empfanden 66 Prozent die Betreuung der Lernenden im Homeoffice als Herausforderung. Mehr als die Hälfte berichtet auch von Motivationsproblemen bei den Lehrlingen.

Besonderer Schutz für Lehrlinge im Homeoffice

Homeoffice werde in kaufmännischen Berufen aber auch in Zukunft gefragt sein, teilt der Branchenverband mit. Das betreffe auch die Lehrlinge. Für diese seien aber Betreuung und Schutz besonders wichtig. Deshalb fordert der Verband auch für Lehrlinge einen Tag Homeoffice pro Woche und schlägt dafür neue Regeln und Strategien vor (siehe Box).

Box: Diese Regeln sollen für Lehrlinge im Homeoffice gelten

  • Klare Rahmenbedingungen für Arbeitszeit, Erreichbarkeit, zu nutzende Tools usw.

  • Regelmässiger Austausch zwischen Lernenden und Ausbildenden etwa mit einem Videocall bei Beginn und gegen Ende der Arbeit.

  • Einhaltung der üblichen Arbeitszeiten, wie im Büro.

  • Besonders auf das Wohlbefinden der Lernenden achten. Sollten Lernende sich im Homeoffice nicht wohlfühlen, müssen sie die Möglichkeit haben, regulär im Büro zu arbeiten.

  • Lehrlinge sollen PC etc. wie bei allen Arbeitnehmenden vom Arbeitgeber zur Verfügung gestellt bekommen. Dafür sollen Ausbildner vor dem ersten Tag im Homeoffice die Infrastruktur prüfen und auch Tipps fürs ergonomische Arbeiten geben.

Die Beschränkung auf einen Tag sei nötig, da die Lernenden auf einen engen Austausch mit ihren Ausbildnerinnen und Ausbildnern angewiesen sind, sagt eine Sprecherin von KV Schweiz. Ausserdem seien die Lernenden schon an einem bis zwei Tagen pro Woche in der Berufsfachschule. Ab dem dritten Lehrjahr seien in Ausnahmefällen aber auch zwei Tage Homeoffice pro Woche möglich. Der Bundesrat solle nun Bericht erstatten, ob eine Anpassung des Arbeitsgesetzes und der entsprechenden Verordnungen angesagt ist. Denn für Jugendliche unter 18 Jahren gilt ein besonderer Schutz, der auch im Homeoffice garantiert sein soll.

Homeoffice-Empfehlung erst ab dem zweiten Lehrjahr

Der Homeoffice-Vorschlag kommt gut an. «KV-Lernende wollen ebenso Homeoffice, das ist ihnen sehr wichtig», sagt der Lehrbetriebs- und Lehrlingsberater Peter Heiniger zu 20 Minuten. Viele Firmen, die er berät, hätten gute Erfahrungen damit gemacht. Es sei auch ein Zeichen des Respekts. «Damit setzt man gegenüber Auszubildenden ein klares Signal, dass man ihnen Verantwortung und dieselben Möglichkeiten wie allen Büroangestellten geben will.» Allerdings sei Homeoffice erst ab dem zweiten Lehrjahr zu empfehlen, «wenn ein gewisses Vertrauensverhältnis zwischen Berufsbildnern und Lehrlingen besteht», sagt Heiniger. Eine Firma habe letztes Jahr einen Versuch mit Erstjahr-Lernenden mit ernüchterndem Ergebnis gemacht: «Viele der jungen Menschen waren überfordert oder nutzten die Situation zu ihren Gunsten aus», so Heiniger. Homeoffice sei übrigens gerade im KV-Bereich einfacher umzusetzen als gedacht. «KV-Lernende haben oft Eltern, die auch im Büro arbeiten. Dabei erfahren sie im Austausch rasch, was für produktive Homeoffice-Tage speziell beachtet werden muss», sagt Heiniger.

Weiterlesen - ein Beitrag von Fabian Pösch erschienen am 18.09.2021 auf www.20min.ch

Männer werden bei Teilzeitjobs benachteiligt

Frauen arbeiten öfters Teilzeit als Männer. Das liegt auch daran, dass Arbeitsgebende Teilzeitstellen weniger häufig mit Männern besetzen. Frauen erledigen in der Schweiz mehr unbezahlte Arbeit wie Hausarbeit. Denn sie arbeiten häufiger Teilzeit. Das liegt auch daran, dass Männer, die eine Teilzeitstelle suchen, von Unternehmen benachteiligt werden.

Teilzeit arbeiten in der Schweiz noch immer vorwiegend Frauen: 59 Prozent der Schweizerinnen arbeiten nicht hundert Prozent. Doch nur 18 Prozent der Schweizer arbeiten Teilzeit, wie Zahlen des Bundesamts für Statistik BFS zeigen. Das liegt unter anderem daran, dass Männer viel seltener eine Teilzeitanstellung suchen. Gleichzeitig tragen auch die Unternehmen zu der ungleichen Verteilung von Erwerbsarbeit bei, wie eine Analyse der Konjunkturforschungsstelle der ETH (KOF) zeigt.

So können Stellensuchende auf der Online-​Arbeitsmarktplattform des Staatssekretariats für Wirtschaft anonym ein Profil aufschalten. Arbeitsgebende können anschliessend durch die Profile klicken, um geeignetes Personal zu finden. 2017 wurden alle Klicks für zehn Monate erhoben. Dabei zeigte sich: Wer im Profil angab, Teilzeit arbeiten zu wollen, wurde weniger häufig kontaktiert. Je geringer das gewünschte Arbeitspensum ist, desto kleiner wird die Wahrscheinlichkeit. Für Männer stellt der Wunsch nach einer Teilzeitstelle aber einen deutlich grösseren Nachteil dar, als für Frauen.

So sinkt die Wahrscheinlichkeit kontaktiert zu werden für einen Mann, der eine 90-Prozent-Anstellung sucht, um 16 Prozent gegenüber einem Mann, der eine Vollzeitstelle sucht. Dabei weisen die beiden Kandidaten ansonsten die gleichen Merkmale auf und sind gleich gut qualifiziert für den Job. Bei Frauen ist der Nachteil laut KOF weniger als halb so gross. Am grössten sei die Benachteiligung von Männern auf der Suche nach einer 50 bis 59 Prozent-​Anstellung: Ihre Wahrscheinlichkeit, kontaktiert zu werden, reduziert sich um 28 Prozent.

Teilzeit entspricht nicht dem traditionellen Rollenbild

Dass Männer bei Teilzeitjobs benachteiligt werden, liege wohl daran, dass sich auch die Arbeitsgebenden bei ihrer Einstellungsentscheidung von traditionellen Rollenbildern leiten lassen, wie es weiter heisst. Ein Mann, der nur einige Tage die Woche arbeitet, entspreche nicht mehr der Rolle des Haupternährers. Es könne sich dabei durchaus auch um eine unbewusste Reaktion vonseiten der Arbeitsgebenden handeln. Allerdings führe diese Benachteiligung dazu, dass Männer noch weniger Anreize haben, ihr Arbeitspensum zu reduzieren. Das wiederum sorge dafür, dass Frauen weiterhin den grösseren Teil der unbezahlten Arbeit Zuhause übernehmen.

19,1 Stunden pro Woche für Hausarbeit

2020 leisteten Männer und Frauen in der Schweiz rund 46 Stunden bezahlte und unbezahlte Arbeit in der Woche. Frauen wendeten dabei 28,7 Stunden für Haus- und Familienarbeit auf, Männer 19,1 Stunden, wie neue Zahlen des Bundesamts für Statistik (BFS) zeigen. Männer haben aber bei der Hausarbeit seit 2010 zugelegt: Waren es vor zehn Jahren noch rund 16 Stunden wöchentlich, sind es heute etwa drei Stunden mehr. Bei Frauen hat sich der Zeitaufwand für Arbeiten im Haus hingegen kaum verändert.

Weiterlesen - ein Beitrag von Barbara Scherer erschienen am 17.09.2021 auf www.20min.ch

Räte beschliessen höheren Steuerabzug für extern betreute Kinder

Für Kinder-Betreuungskosten sollen Eltern künftig bis zu 25'000 Franken von der direkten Bundessteuer abziehen können. Das hat nach dem Nationalrat auch der Ständerat beschlossen. Er will aber noch einen weiteren Abzug für Kinder erhöhen.

(sda) Der Ständerat hiess die entsprechende Vorlage am Donnerstag mit 26 zu 13 Stimmen und einer Enthaltung gut. Konkret sollen für die Kosten für ein von Dritten betreutes Kind bis zu 25'000 Franken statt wie heute 10'100 Franken abgezogen werden können. Das führt zu Ausfällen von rund 10 Millionen Franken. Es ist bereits der zweite Anlauf in kurzer Zeit, um die Abzüge für familienextern betreute Kinder zu erhöhen und damit etwas für mehr Fachkräfte im Arbeitsmarkt zu tun. Im September 2020 lehnte das Stimmvolk die erste Vorlage an der Urne mit rund 63 Prozent ab, nachdem die SP das Referendum ergriffen hatte.

Zum Verhängnis geworden war der Vorlage laut Beobachtern, dass auch der allgemeine Abzug pro Kind von 6500 auf 10'000 Franken hätte erhöht werden sollen. Das Parlament hatte dieses Element in die ursprüngliche Vorlage des Bundesrates eingefügt. Den Abzug für die Kosten für Fremdbetreuung erhöhten die Räte nun erneut auf bis zu 25'000 Franken. Geltend gemacht werden können gemäss dem Beschluss der beiden Kammern nachgewiesene Kosten bis zu 25'000 Franken. Weiterhin gilt, dass das Kind weniger als 14 Jahre alt ist und mit der steuerpflichtigen Person zusammenlebt. Die Betreuungskosten müssen einen direkten Zusammenhang haben mit der Arbeit oder Ausbildung der Mutter oder des Vaters. Ziel ist, die Vereinbarkeit von Beruf und Familie und die Integration gut ausgebildeter Frauen in den Arbeitsmarkt weiter zu fördern.

Der Ständerat will aber - zu Gunsten aller Familien - die Vorlage ergänzen. Er beschloss mit 25 zu 14 Stimmen und zwei Enthaltungen einen höheren Abzug vom geschuldeten Steuerbetrag pro Kind. Künftig sollen beim so genannten Elterntarif nicht wie heute 251, sondern 300 Franken pro Kind geltend gemacht werden können. Dies würde mit rund 69 Millionen Franken zu Buche schlagen. Die Mehrheit im Ständerat argumentierte, dies komme allen Familien zugute, unabhängig vom gewählten Familienmodell. Ausserdem würden Familien mit tieferen Einkommen damit verhältnismässig stärker entlastet als solche mit hohen Einkommen.

Beim Abstimmungsresultat von 2020 gebe es Interpretationsspielraum, hiess es seitens der Mehrheit. Es gehe um eine Geste gegenüber Familien, die sich entschieden hätten, ihre Kinder selbst zu betreuen und vorübergehend auf Erwerbseinkommen zu verzichten, sagte Stefan Engler (Mitte/GR). Pirmin Bischof (Mitte/SO) mahnte, nicht nur an die Gutverdienenden zu denken, sondern auch an Paare mit wenig Einkommen. "Das ist die Mehrheit der Familien mit Kindern." Mit dem Abzug vom Steuerbetrag könnten diese Menschen ebenfalls profitieren, und das sei nicht das, was 2020 abgelehnt worden sei. Eine Minderheit im Rat stellte sich gegen die Ergänzung. "Die direkte Bundessteuer ist nicht der richtige Ort für Familienpolitik", mahnte Christian Levrat (SP/FR). Denn die Hälfte der Familien zahle gar keine direkte Bundessteuer. Levrat warnte davor, den Irrtum der ersten Vorlage zu wiederholen und über den Volksentscheid von 2020 hinweg zu gehen. Auch Eva Herzog (SP/BS) wandte gegen das Ansinnen, durch die Hintertür ein "fremdes Element" einzufügen, ohne Vernehmlassung. Finanzminister Ueli Maurer sagte, er habe gestaunt ob dem erneuten Versuch, die Vorlage zu einem familienpolitischen Projekt zu machen. Das ursprüngliche Ziel sei, mehr Fachkräfte für die Wirtschaft zu haben. "Nur dem tapferen Schneiderlein gelingt es, sieben auf einen Streich zu treffen."

Die Vorlage habe das gleiche Manko wie die 2020 abgelehnte, sagte Maurer. Vom höheren Elterntarif bei der Bundessteuer profitiere nur gut die Hälfte der Familien. Brächten nun erneut alle ihre Wünsche ein, "könnte es erneut eine Referendumsvorlage geben", mahnte Maurer. Über die Erhöhung des Elterntarifes auf 300 Franken pro Kind muss nun der Nationalrat nachmals befinden. Die Vorlage geht deshalb zurück in die grosse Kammer.

Weiterlesen - ein Beitrag von SDA erschienen am 16.09.2021 auf www.bielertagblatt.ch

 

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